Passo sicuro, la naturalezza di chi il suo calcio riesce a mutarlo in una forma d’arte. Entusiasmo e sfrontatezza, quella necessaria per disegnare un capolavoro al Bernabéu, la giocata che tiene ancora vivo, vivissimo, il discorso qualificazione ai quarti di Champions in casa Napoli. Servirà l’impresa, puntualizzarlo è persino scontato, ma l’appiglio, la speranza, è tutta in quella giocata maestosa di Lorenzo Insigne. Lui, indomabile nella tana dei campioni, capace di stuzzicare anche i palati sopraffini del tempio del calcio madrileno. Perché, diciamolo, quando conta non trema. Dal Signal Iduna Park alla finale di Coppa Italia decisa praticamente da solo. Un assioma puntellato negli anni: quando il pallone pesa, per davvero, lui c’è. E si vede.
Un moto perpetuo, il classe ’91 di Frattamaggiore, un treno in corsa incapace di fermarsi quando il suo talento diviene paradigma da seguire, necessario. Lo ha fatto al Bentegodi, mettendo sui giusti binari una gara ostica. Il Chievo di Maran compatto, ben messo in campo, ligio nel chiudere varchi e ripartire. Difendere e provare l’imbucata. Tutto sparigliato da un destro a giro da spellarsi le mani, marchio di fabbrica con ben inciso il suo timbro. Un sibilo, leggiadro e allo stesso tempo implacabile. Un colpo d’autore su cui Sorrentino può solo allungare vane speranze, nient’altro.
Il colpo del campione che risolve le partite, soprattutto lontano dalle mura amiche dove Insigne è autentico trascinatore: sette dei suoi nove gol stagionali lontano dal San Paolo. In principio fu il Friuli, la Dacia Arena. E quella doppietta che scacciò fantasmi che perduravano da aprile, un digiuno troppo ampio, infinito, per chi nella stagione precedente aveva disegnato la miglior annata in carriera con tredici reti a referto. Poi, appunto, il treno in corsa. La porta, ma non solo. Mai accantonare quel carico di fantasia, l’illuminazione per i compagni, otto assist ad oggi, quel connubio con Callejon che è simbiosi, una combinazione che sfida il reale manifestandosi con continuità strabiliante. E sacrificio, tanto. Su e giù sull’out mancino. Il fronte dell’estro, dell’imprevidibilità, con Ghoulam e Hamsik a macinare calcio. C’è insomma da portare – anche – i galloni del sacrificio. Consegna a cui Lorenzo non rifugge, mai. Il più puro, e maturo, tra i talenti a disposizione in orbita Nazionale. Freccia acuminata con cui arricchire la propria faretra e da non riporre al cospetto di tatticismi esasperati. Intorno a Lorenzo va costruito un gruppo. E l’ultima settimana, semmai fosse necessario, è solo l’ultimo messaggio a Ventura impossibile da non interpretare.
Dal Friuli al Bentegodi, passando per il Bernabéu. Senza dimenticare altre gemme, quella di San Siro su tutte. Un’estate difficile: i dubbi, il nodo rinnovo, tutto alle spalle. Almeno sul rettangolo di gioco. Mano sul petto a più riprese, sinonimo di un legame inscindibile e che va oltre incertezze e polemiche. Sarri lo stuzzica, sempre, a dovere. Il miglior modo di stimolare chi del campione porta incisi tratti inequivocabili, marchiati a fuoco. La risposta è uno schiocco di dita, sul campo. Naturale come quel destro che, ormai da tempo, ha ritrovato i giri giusti e non smette di incantare.
Edoardo Brancaccio