Dia-Uà-ra. Nel senso che stupisce, nel senso che fai fatica a farci l’abitudine. Nel senso che Amadou resta un fenomeno, ovunque lo si guardi, comunque lo si ammiri. È che in fondo fa strano, e pure un po’ d’invidia s’accoda: arriva questo ragazzone dal nulla e si prende tutta la scena. Non solo: è il modo di affrontare il match, e forse il mondo, a fare la differenza. Roba da predestinati, che coi comuni mortali hanno in comune solo un naso, una bocca e coppie di labbra, occhi e orecchie. Il resto? D’altra caratura. Come la partita che ha affrontato, come la stagione che sta vivendo. Come un’intera carriera che lo sta aspettando a braccia apertissime. Il Real, manco a dirlo, ha già preso appunti.
COME ALL’ANDATA
Diawara pare abbia fatto un corso intensivo su come non procacciarsi ansia o tremarella prima delle grandi sfide. Al Bernabeu sembrava il più vecchio in campo, l’uomo con più esperenza. Tant’è: al San Paolo come a Madrid, ha saputo dominare anche con un filo di barba sul volto, e con un talento pazzesco tra i piedi. Verticalizzazioni e fraseggio stretto, smistamenti intelligenti e spostamenti con accurata furbizia: se c’era bisogno di un faro a centrocampo, Giuntoli ha portato a Napoli la stella più luminosa e giovane che ci fosse. Ci è voluto appena il tempo di collaudare il riflesso della luce. E di superare Jorginho nelle gerarchie.
PADRONE ASSOLUTO
Questione di numeri. Da fenomeno, in primis. E poi di quelli strettamente legati alle statistiche. Oh, così a caso: l’ex Bologna ha la miglior percentuale di passaggi effettuati all’interno del match (92%). Meglio di lui, per intenderci, solo Zielinski e Isco: entrambi partiti dalla panchina, entrambi rimasti fuori per più di tre quarti dei novanta minuti disputati. Oh, sempre così, sempre così a caso: Diawara è anche l’uomo che ha tenuto più palla, che ha saputo tener botta davanti alla pressione madridista e al costante raddoppio sulle sue caviglie. Se non è un fenomeno, questa sera ha appena superato l’esame di idoneità: sta per diventare un supereroe a tutti gli effetti.
Del resto, gli mancavano proprio esperienza e grandi palcoscenici. Non di certo il talento per affrontarle, sfide del genere. Non di certo il carisma per viverli al massimo, momenti di questo tipo. Resta Amadou, il padrone. Nonostante il risultato e il muso lungo, nonostante le delusioni e la paura di non poter più ambire a determinati traguardi, a determinati sorrisi. Resta Amadou, il padrone: dall’alto dei suoi quasi vent’anni, dei suoi tentacoli e della sua fame d’arrivare. E dall’alto dell’amore viscerale che Napoli sta imparando a provare per lui: un figlio che dà soddisfazione, che alimenta i sogni e le speranze. Che sempre rende assurdamente semplice il suo lavoro, come se appartenesse a quella zona di campo dal primo giorno su questa Terra.
Forse è proprio così. Forse addirittura, un giorno, toccherà anche abituarsi al suo stare in campo, al suo chiudere i conti con l’inconcludenza, al suo continuo nascondere vent’anni e inesperienza. Nel frattempo, sia chiaro, da queste parti ci si gode anche l’effetto sorpresa: ché il giorno in cui Diawara non avrà più qualcosa da dimostrare, vorrà dire che il suo talento ha saputo prevalere su tutto il resto. Sarà un giorno felice. Felice e scontato.
Crico