Per qualcuno il rumore delle dita che battono la tastiera di un computer, in una sala stampa vuota, può trasformarsi nel suono più piacevole dell’universo. Deformazione professionale, forse. Però quel rumore ha un valore intrinseco fortissimo: genera parole, racconti. Racconti di esperienze vissute sulla pelle, lì a Dimaro, e messi immediatamente su carta.
La sala stampa del teatro di Dimaro ne ha accolti di giornalisti, di computer, di tasti schiacciati e racconti del genere. Come si racconta Dimaro? Quale novità si può aggiungere alle tante cose scritte, dette, raccontate?
Magari ti sorprendi a ripensarci nel bel mezzo del viaggio di ritorno, mentre fumi una sigaretta in un autogrill della Toscana. O forse realizzi soltanto quando sei a casa: il ritiro di Dimaro è finito. Sì, è terminata una fetta importante e abbondante di precampionato. La domanda sorge in maniera improvvisa, quasi marginale, si perde in una to-do-list allungatasi a dismisura dopo venti giorni di ritiro: cosa lascia Dimaro?
Fiumi di parole sull’entusiasmo dei tifosi. “A Dimaro c’è un clima fantastico”. Sì, tutto vero. Però soffermandosi sui particolari si colgono le scene più disparate. Non un gruppo unico di cinquanta mila tifosi, mosso dallo stesso sentimento, le medesime aspirazioni, uguali pensieri e parole.
Proviamo a scindere quelle cinquantamila presenze. Bambini, giovani, anziani, uomini, donne. A loro Dimaro non lascia soltanto il grido di Scudetto, quello lanciato h24 nella full immersion trentina. La vita è fatta di piccoli gesti: così, il bambino che ha ricevuto l’autografo di Hamsik custodirà gelosamente quel ricordo per sempre, l’uomo adulto è contento perché può condividere (e vantare) la sua conoscenza calcistica con altre persone, l’anziano può rivangare i suoi fulgori giovanili. E Pesaola, Vinicio, Maradona.
Lascia un’allegria contagiosa, Dimaro. Che proviene dai calciatori, sprigionata dall’essenza giovanile di quei professionisti che a volte si dimenticano del loro status sociale per tornare ad essere ragazzi normali. Immaginatela, la scena: estate 2018, sulle spiagge di mezza Italia si balla al ritmo della Pavo-dance. “PA-VO-LO-SO! PA-VO-LO-SO!” Sì, è anche questo Dimaro.
È la Dark Pavo Gang, un gruppo di ragazzi che ha percorso l’Italia per guardare il proprio idolo e mandare un messaggio: “Sarri, dai fiducia ai panchinari!”. I tifosi a Dimaro scavalcano le frontiere: ci si imbatte in un gruppo di senegalesi che stravede per Koulibaly, ci sono i ragazzi belgi invitati negli spogliatoi da Mertens, c’è l’algerino che indossa i panni del professore e svela a tutti la pronuncia corretta di Ounas. E sì, c’è Ounas, che qualcuno vorrebbe soprannominare “Gennarino” e qualcun altro, più bonariamente, “Friariello”.
Il tifoso s’è legato a Dimaro come a una seconda casa, l’ha resa una colonia di Napoli radicata in una terra lontana. Ne ha fatto il proprio locus amoenus. C’è tutta la Napoli che esplora, lì a Dimaro. E che alla Val di Sole difficilmente vuole rinunciare. Come quell’uomo di mezza età che s’è dispiaciuto quando ha saputo che il Napoli, l’anno prossimo, potrebbe non tornare da quelle parti. “Ma perché? Qua si sta così bene!”.
Dai piani alti si parla molto dell’immagine di Napoli e dei napoletani nel mondo. Beh, a Dimaro sopraggiungono cuori azzurri da ogni dove. Son contenti tutti, in Val di Sole. I calciatori, i tifosi, i giornalisti, gli organizzatori, le istituzioni locali. E quindi l’idea di restare può assumere forma, tramutarsi da pourparler in accordo materiale. Però il Napoli vuole garanzie: un secondo campo, strutture all’avanguardia, più soldi.
Quando c’è comunione di intenti ci si accorda facilmente. E a Dimaro son felici tutti, anche Sarri, che in Trentino un po’ ricorda Benitez quando parla del preliminare e che all’idea di una Tournée oltreoceano storce il naso.
Intanto la sigaretta finisce, il viaggio verso casa riprende. Un attimo solo, da vivere d’un fiato: cosa lascia Dimaro.
Vittorio Perrone