Su “La solitudine dell’ala destra”, di Fernando Acitelli
Edito da Einaudi
“Sono stato un modestissimo calciatore – non sono andato oltre le giovanili in due squadre minori della capitale – ma ho donato al gioco del calcio (anche da tifoso e spettatore) gran parte della mia giovinezza.” Così, dal suo autore, è inaugurata la premessa che introduce La solitudine dell’ala destra.
Scrivere versi sui versi è, di regola, azione stridente. Per il regime letterario sarebbe come ricalcare, goffamente e con scarsi risultati, sull’altrui poesia, con la speranza di ricavarne un ologramma che almeno incanti i più ingenui e insipienti. Ma la poesia non vuole che la si legga in trasparenza. È un ordine, un diktat, un dito puntato che dice una cosa sola anche quando con sublime e struggente delicatezza ne usa tante e in un’unica volta. Ora, se ammettiamo con convinzione che la prodezza del calciatore somiglia a una poesia, come raccontarla diversamente dai canoni della narrazione? Ebbene sì, il calcio mette a disposizione del poeta un campionario ricolmo di vite, oggetti, azioni, vizi ed errori, che la poesia impolverata, sporca di fango e di imprecazioni, cede alla grazia dello scrittore.
Fernando Acitelli, scrittore, ed ex calciatore della Standa e della Romulea, ha militato, da terzino destro, nel calcio periferico delle squadre di quartiere. Ma, come appassionato, ne ha pure colto appieno il margine di gloria e debolezze dei campioni acclamati dal tifo e dalla Storia. In una lunga raccolta di versi, Acitelli dedica a centosessanta calciatori una poesia per ognuno, limitandosi all’unica e dignitosa separazione possibile, quella del tempo. Ispirandosi a episodi rilevanti della storia del futbol, il poeta intitola ogni capitolo che raccoglie i calciatori secondo lui più significativi. Ogni capitolo un decennio, ogni decennio una parata di campioni grandi e piccoli, fino all’appendice finale dei “Sommersi salvati”, che raccoglie diciassette poesie dedicate ad altrettanti calciatori accomunati da un destino che li ha voluti tutti potenziali campioni sottratti alla ribalta. Da Azio Mancini, prematuramente scomparso, a Gaetano Musella, calciatore di grande talento che mai riuscì a dimostrare fino in fondo il suo valore. Oppure Luciano Bodini, portiere vissuto a lungo all’ombra di Dino Zoff. I “sommersi” di Acitelli sono le controfigure derelitte di un calcio che celebra soltanto chi è predestinato al suo spietato protettorato, e che adotta gli eletti dallo sport e dalla vita, senza curarsi degli uomini che, pur adoperandosi da raffinati e silenziosi artisti dietro le quinte dello spettacolo, sono e resteranno sempre i campioni del buio, di quella luce opaca, residuale e fioca, mescolata all’oscurità dei sottopalchi.
La vena ermetica di Eugenio Montale e la circolazione sanguigna del “mitismo” di Kostantinos Kavafis conducono la poetica stilistica dell’autore verso la stesura lirica di campioni che escono dalla fotografia d’epoca e rivestono i panni dell’artista del pallone. Ruud Kroll, “Chansonnier in cilindro che lustro fuoriesce dal sipario”, e Johannes Cruijff, “Giaguaro della casa d’Orange”, sono i generali raffinati de “L’arancia meccanica” del calcio totale. Gigi Meroni, ricordato in versi malinconici che sembrano l’epitaffio sulla tomba di un poeta, e Agostino Di Bartolomei, sono i fanti coraggiosi caduti nelle grinfie della disgrazia e nel vortice della disperazione, dopo aver combattuto, anche fuori dal campo di gioco, contro morali precostituite e subdole dinamiche di quel calcio definito da Alfonso Gatto una “formula del potere”. Omar Sivori e Osvaldo Ardiles sono i lirici geometri di un Soccer che rappresenta la perfezione, George Best è “il pirata” del football, e Diego Armando Maradona domina l’Olimpo cifrato in versi che sanno d’arte e di rivoluzione. Pelè, “Equivoco metafisico”, è per il poeta il mondo consegnato all’abilità di un solo uomo. Ferenc Puskas, Garrincha, Lev Jascin, Bobby Moore, Luisito Suarez, Eusebio, Romario e tanti altri, sono cantati da un’epica moderna che, per mano dell’autore, cerca di separare la limpidezza e gli elogi della gloria dal precipitato dei loro umanissimi vizi.
Nella prefazione, Fernando Acitelli avvisa il Lettore. “Spesso, anche la semplice osservazione del volto, i tratti o i comportamenti, hanno smosso nel mio animo il fragore della Storia e mi scuso se nel far questo ho avvicinato tribuni della plebe, imperatori romani, regine, fanti generali, picari e poeti a un campo di calcio.”
Se è vero quanto Jorge Luis Borges afferma, che “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricominciala Storia del calcio”, allora Fernando Acitelli, nell’intima ammissione di esser stato maldestro e poco raffinato vicario di un calcio sgraziato e provinciale, ha voluto rendergli diversa forma di onore registrando in versi le giocate, le voci e i deboli sospiri dei suoi idoli immortali, consegnando alla letteratura la responsabilità di non smarrire i tratti didattici utili al bambino che ogni volta fa ricominciarela Storia del calcio, così da far divenire la “solitudine dell’ala destra” la bandiera spirituale di una folla unica.
sebastiano di paolo, alias elio goka