Un attimo per la redenzione.
Un attimo. Tra la disfatta e la gloria. Un attimo cambia tutto.
Un attimo ti trascina su, da stalle a stelle. Dal baratro al successo o viceversa, con viaggio di ritorno. È un biglietto di sola andata verso il nulla, verso l’ignoto. L’oscuro. Un salto nel vuoto senza una corda a cui reggersi forte. Senza una destinazione, un punto d’appoggio.
Il baratro l’ha vissuto, Rafael Cabral. L’ha vissuto in Galles, quando si ruppe il crociato. Era il febbraio 2014, lui era un giovane portiere brasiliano incantato dal mondo Europeo, con una valigia fatta di sogni portata dal Brasile. Era arrivato tra i migliori auspici, li aveva confermati. Proprio lì, in Galles, con lo Swansea. Una parata, due, tre. Poi il crack al ginocchio destro. Stagione finita.
Ritorna in campo a luglio, per riprendere il posto tra i pali e l’eredità, troppo pesante, di Pepe Reina. La stagione va tra bassi, alti, bassissimi. Verso febbraio Laazar lo infila da quaranta metri e lo costringe alla panchina forzata fino al termine della stagione. Quello è il baratro, per Rafael Cabral.
La gioia, la più grande della carriera, arriva lontano, lontanissimo. Prima di Laazar, prima della panchina, prima di Sarri, prima di tutto. In Qatar, a Doha. Un posto magico, da Mille e una notte. In Supercoppa Italiana, il 22 dicembre 2014.
La situazione: Higuain ne ha fatti due alla Juventus, ha risposto a Tevez e ha mandato il Napoli a giocarsi la vittoria del trofeo ai rigori.
L’ultimo penalty, dopo una sequela lunghissima, è di Padoin. Braccio alto, testa altissima. Rafael l’allunga, respinge il pallone. Poi s’inginocchia, ringrazia il cielo. Lui, atleta di Cristo, prega con lo sguardo e le braccia rivolte verso l’alto. È l’ultima gioia di Rafael. Poi ci sarà tanta panchina, ma anche tanta professionalità da parte di un ragazzo che accetta le decisioni senza fiatare troppo. Doha è il punto più alto della sua carriera, il punto in cui Rafael passa da promessa mancata a storia azzurra. Indipendentemente dal “dopo”.
È l’ultimo volo,
l’ultimo respiro
l’ultimo pianto,
l’ultimo secondo,
l’ultimo grido
di Rafael Cabral. Andrà via, giocherà pochissimo anche nella stagione corrente, ma non sarà dimenticato. Tutti, in futuro, sapranno di quel portiere sfortunato che ha visto il baratro e che – seppur per un attimo – s’è risollevato. Una pagina di storia azzurra che nemmeno le critiche più aspre possono cancellare.
Vittorio Perrone
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