Ha trascorso un’intera vita professionale, e non solo, al fianco del più grande calciatore del mondo, Diego Armando Maradona, vivendo ascesa, caduta e risalita del Pibe de Oro. Con lui ha vinto e gioito, dall’Argentina alla Spagna all’Italia, sui campi da calcio e in panchina, fino ad arrivare ad allenare Leo Messi durante il Mondiale in Sudafrica nel 2010. Stiamo parlando di Fernando Signorini, storico preparatore atletico e amico di Maradona, che ci ha concesso gentilmente il suo tempo per rispondere alle nostre domande.
Quali sono i tuoi ricordi di Napoli?
“I miei ricordi di Napoli coincidono con momenti unici della mia esistenza, indimenticabili, per tutto quel che ho vissuto lì. Sono stato nella città meno noiosa del mondo, la più confusionaria, calorosa, perché la sua gente ha una incredibile creatività e perché anche il clima, il paesaggio, la compagnia, il cibo, lo stesso modo di vivere dei napoletani, è qualcosa di unico. È unica nel mondo. Ci sono troppe cose che sempre mi legheranno alla città. Ricordo ancora le uscite sulla Costiera Amalfitana, su quella Sorrentina. Vengo sempre volentieri in Italia, ma a Napoli in particolare. Ed ovviamente la mia serie di ricordi è collegata a Diego, avendo vissuto lì con lui. Per me Napoli è tutto”.
Raccontaci del tuo rapporto con Maradona. Come è nato, come si è sviluppato negli anni e come è oggi.
“Nel 1983, il sei giugno, il giorno prima della finale di ritorno della Copa del Rey contro il Real Madrid, sono stato invitato da Cesar Menotti (tecnico, allora, dell’Argentina, n.d.r), e in quel giorno parlai con Diego per la prima volta. Dopo l’infortunio che patì contro l’Athletic Bilbao mi avvicinai a lui. Cominciai a seguirlo nel suo recupero, fino a che non mi chiese di lavorare come suo preparatore atletico personale. Così è cominciato un rapporto che è durato per tanti anni, poco dopo andammo a Napoli e cominciammo insieme questa fantastica avventura di sette anni. Ed insieme abbiamo vissuto ben quattro Mondiali: Messico ’86, Italia ’90, Usa ’94 e, con lui in panchina, Sudafrica 2010. C’è sempre stata una relazione di rispetto ed onestà tra noi due, lealtà e amicizia. Oggi i cammini della vita non sono più coincidenti, ma come sempre manteniamo un rapporto di affetto inalterato”.
Hai qualche aneddoto da raccontarci, con protagonisti te e Diego, negli anni di Napoli?
“Chiaramente ne ho più di mille, ogni giorno che andavamo ad allenarci ma anche in Argentina. Ovunque ci fosse Diego c’era confusione. Molte volte, soprattutto mentre eravamo a Mergellina, c’era tanta gente che ad un certo punto dovevamo girare e tornare a casa. Qualsiasi cosa facessimo dovevamo farla in silenzio, altrimenti accorrevano più di 300 persone alla volta. Era sempre così. Una volta Diego doveva comprare un orologio, eravamo in un’auto con dei nostri amici. Poco dopo si presentarono i carabinieri, altrimenti non saremmo potuti uscire dal negozio!”.
La droga è stato il più grande errore di Diego? E quanto è contato, però, essere Diego per uscire dal tunnel?
“La droga è sempre un male, Diego non ha fatto eccezione. Ma la droga non la usa solo chi sta bene, ma anche chi sta male. E Diego molte volte, con se stesso, stava male. L’impatto con la popolarità di Diego fu enorme, e nessuno lo aveva preparato, a tratti fu un disagio. Credo sia stato il primo uomo-immagine del mondo, la sua notorietà aveva il suo prezzo. Ancor di più per un ragazzo che da condizioni più che umili era uscito fuori. Non cerchiamo scuse per difenderlo, ma nemmeno per attaccarlo. Doveva essere un esempio, gli dicevano. Ma di cosa? Era l’esempio di qualcuno, quando viveva a Villa Fiorito? Nel mondo del calcio c’è stata molta ipocrisia, gli hanno fatto pagare il prezzo per come invece giocava a calcio”.
Raccontaci ora delle vittorie di Mondiale e Scudetto, cosa ti disse Diego?
“Per la prima volta, a Messico ’86, per la prima volta un giocatore ebbe tanta influenza nella conquista della squadra. Cominciò a prepararsi molti mesi prima, credo sia stato il primo giocatore che mise tutta la sua volontà. Era il mondiale suo e di Platini, eravamo convinti che c’era spazio per uno solo e quello era Diego. A febbraio cominciammo a fare la preparazione totale, dal punto di vista fisico ma soprattutto mentale. Era un suo desiderio, e ci arrivammo nella miglior maniera a quel mondiale, impervio per le temperature, l’altezza e quant’altro. Era maturato tanto, facendo il miglior torneo che abbia mai visto in un Mondiale. Quel che davvero cementò la sua egemonia nell’Olimpo del calcio fu il tricolore con il Napoli, quello lo gasò oltremodo, riuscì a capovolgere la mappa, col Sud in testa, grazie ai suoi compagni ed un pubblico fantastico che lo protesse, coccolò ed esaltò”.
Parliamo del Napoli oggi. Si può vincere lo scudetto?
“Sì, senza dubbio. Il Napoli è la più seria aspirante per lo scudetto quest’anno. L’ostacolo maggiore è la Juve, ma anche gli arbitri, diciamolo (ride, n.d.r). Sappiamo la Juve come tratta, per il potere forte che ha. Ma la squadra, con Sarri, hanno molte capacità per regalare una nuova allegria, una nuova esplosione del Vesuvio. Secondo me è stato necessario concentrarsi su un solo obiettivo, non essendo la rosa molto numerosa. Il mese corrente sarà decisivo, se l’ambiente riuscirà a mantenere la calma e a non mancare nel coraggio. Parlo della squadra ma anche della città. La Juve è un osso duro, ma il Napoli può comprometterla”.
Cosa significherebbe oggi vincere contro la Juve?
“Sarebbe saltare un duro scoglio, se il Napoli vince farebbe un golpe per la Juventus! Sarebbe tremendamente importante. Sarà importante non perdere, soprattutto a Torino, occhio agli arbitri! In una partita normale, il Napoli senza dubbio può piazzare un gran colpo”.
Ti diciamo una cosa: 3 novembre 1985, la ricordi quella punizione di Diego contro la Juve stessa?
“Indimenticabile, come il gol del secolo al Mondiale: per me quella punizione è ancora più complessa del gol all’Inghilterra. Fu un inno alla tecnica, quasi un’opera d’arte, un colpo inimmaginabile con tanta poca distanza dalla porta! Diego fu capace di accarezzare la palla con una parabola che baciò la rete, alle spalle di Tacconi. Uno dei gol più impressionanti mai visti in una partita chiave. E come dimenticare poi l’esultanza del San Paolo…”.
GENNARO DONNARUMMA