“Adoro andare allo stadio, nel nostro San Paolo, perché qui dentro dimentichi tutto. Arrivi piena di rabbia e tachicardia perché, fuori, un parcheggiatore abusivo a cui hai rifiutato di pagare il «pizzo» ti ha minacciata di danneggiarti il motorino, costringendoti a spostarlo poco più in là. Sei furiosa perché vivi in una città che funziona in deroga e non c’è nessuno che sia tutelato nel difenderla un po’. Ti siedi al tuo posto e respiri l’aria di tutti, carica di aspettative, sogni, desideri che in novanta minuti possono trasformarsi in realtà. Qui dentro tutto è possibile. Sai che nel preciso istante in cui l’arbitro fischia l’inizio della partita ci sono sei milioni di persone nel mondo che la vivono insieme con te. Guardi gli undici in campo e ti sembrano quasi l’immagine di un guerriero addormentato, poi arriva la pioggia a svegliarli e ne senti l’urlo feroce. E quell’urlo rimbalza da Roma, a Milano, a Tokyo, a Dublino, ovunque batta un cuore azzurro. Un pubblico intero applaude e gioisce per la straordinaria azione del Pocho Lavezzi, campione dai gol impossibili, che sembra giocare con Oddo, un campione del mondo. E poi per la doppietta di Cavani (per lui le reti sembrano sempre seplicissime) e il gol di Dzemaili, finora incompreso e finalmente conscio dei propri mezzi. E sei doppiamente contenta perché è qui che torna in campo il guerriero Grava, che è il vero spirito di una squadra tanto imperfetta da risultare unica. Quattro a due e hai urlato dal primo istante all’ultimo e ora sei tranquilla, hai solo adrenalina buona, addosso. Adesso piove, mentre la gente va via, sfolla, torna all’assurda vita in quest’assurda e meravigliosa città. Piove. Ah, se si potesse restare qui”.
Fonte: Il Mattino