Doppio “ex” per la sfida di domani sera ad Anfield. Rafa Benitez vanta infatti un passato sulle panchine di Napoli e Liverpool ed oggi si racconta in una lunga intervista per il Corriere dello Sport:
Liverpool e Napoli: ci sono dentro otto anni di vita di Rafa Benitez.
«Sono orgoglioso di quello che sono stato in grado di conquistare con questi due club. Sono storie diverse però simili per certi versi: il Liverpool aveva un passato luminoso, aveva vinto la coppa Uefa qualche anno prima del mio arrivo, ma voleva la Champions che mancava da vent’anni. Il Napoli era reduce dalla rinascita, ho ereditato l’ottimo lavoro fatto da Mazzarri ma dovevamo fare un ulteriore step e ci siamo riusciti».
Liverpool per Benitez vuol dire la Champions, una delle partite che hanno fatto la storia, da 0-3 a 3-3 e poi il successo ai rigori sul Milan di Ancelotti.
«È uno dei momenti più alti della mia vita, forse in assoluto quello che mi ha regalato un senso di felicità compiuta. Fu una serata straordinaria, nella quale si passò dal dolore più feroce alla gioia più sfrenata. Nessuno, nell’intervallo, avrebbe sospettato che sarebbe accaduto quello che poi riuscimmo a realizzare nella ripresa, però anche sotto di tre gol, la passione dei nostri tifosi fu energia per noi».
Liverpool è anche un’altra finale, stavolta ad Atene, ma persa, sempre contro il Milan, sempre contro Ancelotti.
«A me non piace ricordare quella serata, così come Carlo non gradisce ripensare a Istanbul: è il calcio E comunque se noi fummo bravi la prima volta, loro lo furono la seconda».
Benitez e Ancelotti.
«Grande stima, da parte mia nei suoi confronti e da parte di Carlo con me. Non c’è modo di chiacchierare a lungo, ma ogni volta che ci vediamo alle riunioni tecniche avvertiamo entrambi l’ammirazione che abbiamo l’uno per l’altro».
Napoli è un processo di internazionalizzazione avviato con successo: una coppa Italia e una Supercoppa, a Doha.
«La Juve è fortissima ma lo era già all’epoca. Quando incontrai a Londra De Laurentiis, Chiavelli e Bigon scoprii che c’era il desiderio di crescere. Nacque un progetto biennale, che ha avuto risultati gratificanti. È stato tracciato un solco che, mi sembra, sia poi stato seguito e anzi resista ancora con i Ghoulam, i Koulibaly, i Mertens, gli Albiol, i Callejon: la struttura portante di quella campagna acquisti che servì per dare un respiro più ampio a una squadra che cambiò anche metodo di gioco».
L’ultimo successo internazionale di una italiana è la Coppa Intercontinentale con l’Inter.
«Erano oltre quarant’anni che l’Inter non arrivava sul tetto del Mondo ed esserci riusciti rappresentò una soddisfazione per ognuno di noi ma soprattutto per Moratti, che riuscì ad emulare il suo papà, capace trent’anni prima di quella stessa impresa. Però quell’Inter, che era stata vincente, ormai aveva un’età media alta: andava rinnovata».
Liverpool è casa sua e la sua presenza s’avverte tra la gente: l’unico successo dei reds, dopo il suo addio, è una coppa di Lega inglese.
«Liverpool è la città in cui risiedo, in cui sono cresciute le mie figlie. E il club ha raggiunto un livello altissimo. Quando arrivai, e sono passati ormai quindici anni circa, il potere economico era degli altri, per esempio del Manchester, che poteva permettersi investimenti enormi. Adesso è cambiato, ci sono possibilità maggiori».
Napoli è un affresco romantico che le è rimasto dentro.
«Città fantastica, bellissima, con un patrimonio naturale che stupisce. L’ho girata tanto, per quello che potevo, e sono stato amato al punto che mi ritenevano l’Ambasciatore nel Mondo. Ho avuto rapporti straordinari con la gente, sono stato bene con De Laurentiis con il quale abbiamo costruito, per ciò che era possibile un Napoli europeo, ho lavorato fianco a fianco con Pecchia e Bigon, persone eccezionali, con cui ci telefoniamo. E ho amici, tanti: ho appena sentito Filippo Fusco, con il quale ho modo di parlare spesso; e ho visto in tv un’intervista realizzata a Castel Volturno ai calciatori e ho ritrovato quel mio ambiente».
Il Liverpool è di Klopp, che la eliminò con l’Arsenal dagli ottavi di Champions, nonostante i 12 punti.
«Una delusione che è stata difficile da assorbire: un caso unico, non raro, in Champions. Anzi, sono sicuro: non succederà mai più una cosa del genere. Ma immagino che pure quella esperienza sia servita per far maturare quel Napoli».
Il Napoli è di Ancelotti: tra re di coppe vi conoscete bene
«Allenatore straordinario, persona rispettabilissima: per lui parla calcisticamente la carriera, quel che ha vinto, ma un tecnico è anche un uomo e lui rientra tra i gentiluomini della panchina. C’è stima reciproca, è sempre bello incontrarlo».
Ha allenato Inter e Napoli, è stato vicino alla Juventus e alla Sampdoria: c’è ancora Italia nel suo futuro?
«Sono al Newcastle, impegnato in questa missione, salvarci, che mi prende completamente. Speriamo di farcela, tutti assieme – spalla a spalla, come dicevo a Napoli – e sul futuro non mi pronuncio. Ma l’Italia – dove pure ho vinto quattro trofei – resta un riferimento per chiunque, è un calcio che sta tornando ad essere competitivo a livellointernazionale».
Del Real Madrid non parla con piacere…
«Ma no. Io non sono stato mandato via dai risultati: eravamo in corsa per la Liga e qualificati per gli ottavi di Champions. La squadra stava bene, sono ancora in contatto con qualche calciatore di quel Real e ne parliamo. Ma adesso devo guardare avanti e il Newcastle è la mia nuova sfida: dobbiamo rimanere in Premier e per farlo siamo tutti uniti».
Liverpool-Napoli, un uomo partita.
«Potrei dirne tanti, sia del Liverpool che del Napoli: da una parte Mané, Firmino, Sturridge; dall’altra: Callejon, Mertens, Albiol, Koulibaly. Ma lei me ne chiede uno per parte e allora scelgo: Salah e Insigne».