Può il calcio ridursi a un’equazione? Il settimo posto nella classifica degli ingaggi corrisponde necessariamente al settimo posto nella classifica del campionato di serie A? La tesi l’ha rilanciata Walter Mazzarri e, nelle intenzioni, sicuramente non voleva essere la ricerca di un alibi dopo gli ultimi due punti lasciati a un avversario sicuramente non irresistibile. Non si può trasformare in un limite ciò che era stato adottato come vessillo nell’esaltante tour d’Europa che il Napoli ha percorso finora. Se Cavani, Hamsik e Lavezzi danno spettacolo contro Il Manchester City, perché dovrebbero non essere più decisivi se di fronte c’è il Siena oppure il Chievo? Il valore dei loro stipendi, e soprattutto quello dei loro compagni, c’entra poco, così come le responsabilità di Mazzarri che dai suoi giocatori è abituato a trarre sempre il massimo. L’impressione è che la crisi di risultati sia diventata una crisi psicologica. Gli errori di Cannavaro non hanno alcun legame con il suo 740, la difesa da manuale delle sfide contro le grandi squadre non può essersi evaporata, lasciando De Sanctis senza protezione davanti a Calaiò. Né Inler può avere improvvisamente perso la maschera da Re Leone, o Cavani aver smarrito i fondamentali necessari per trasformare in gol un calcio di rigore. La crisi è arrivata proprio mentre Pandev ha completato la propria integrazione, diventando il titolarissimo aggiunto, e questo è l’ultimo paradosso di una stagione assolutamente salvabile. De Laurentiis ha fissato il nuovo obiettivo nel quinto posto, ma a lui non parlate di entrate e uscite, è il teorico della saggia amministrazione che qualche beneficio ha comunque portato al Napoli.
Sul campo, poi, i brillanti risultati offerti in Champions league sono ancora suscettibili di miglioramento. Il Chelsea, nonostante sia ai primi posti nella classifica mondiale delle spese, continua a vivere una stagione di assoluta normalità, e Vilas Boas da erede naturale di Mourinho è tornato a essere un allenatore di belle speranze internazionali.
Subito c’è la coppa Italia che per anni ha rappresentato l’unico trofeo nazionale nella bacheca del Napoli. La vinse una prima volta quando era una squadra di serie B, lontanissima nella classifica degli stipendi delle irraggiungibili Inter, Milan e Juventus; la seconda coppa arrivò dopo una follia da calciomercato: l’acquisto di Savoldi, due miliardi per una vittoria apparvero un prezzo esagerato. Più redditizio l’investimento di Maradona che in un solo colpo portò scudetto e coppa.
Per il nuovo Napoli, risorto dalle ceneri di una società precipitata in serie C proprio per aver voluto esagerare nelle spese senza ritorno, questa Coppa Italia diventa improvvisamente importante. Ci sarà l’Inter dall’altra parte, domani, esempio di come una stagione persa si possa rianimare fidando sulla forza di volontà, prima ancora che sui milioni guadagnati dalle sue stelle per mesi in eclissi totale. Ha il fascino delle grandi sfide, quelle che il Napoli difficilmente ha fallito. Giocando con i suoi titolarissimi, bravi a far gol più che a far di conto.
Fonte: Il Mattino