In nome del padre e, rileggendo gli almanacchi impolverati, ciò che resta della Champions, d’un sogno svanito negli ottavi, infrantosi persino nei ricordi, è il dolore ormai estinto di Mosca, 7 novembre 1990, una generazione di fenomeni che conosce l’oblìo. «Ahimè, indimenticabile pure quella: però l’ho vissuta, posso dire d’esserci stato. Io mi sento fortunato, nella vita ho ottenuto tutto, anche se in piccolo: uno scudetto da calciatore, uno da allenatore, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana». Il tempo è un mulino che macina la memoria e in quella notte al freddo al gelo, con gli effetti ormai diluiti d’un pibe de oro, Abertino Bigon visse il proprio tormento, mentre a casa, a Padova, Riccardo, fronteggiava l’amarezza: «Lui studiava all’Università, e forse anche da manager: non so cosa io gli abbia lasciato in eredità, ma penso lo stesso modo di affrontare il calcio, con serietà. So che se il Napoli dovesse passare il turno scomparirebbe quel primatino della mia squadra, ma spero che Riccardo e Mazzarri mi cancellino».
SEI FORTE PAPA’ – In nome del figlio: vent’anni dopo, il testimone rovente è un passepartout per la felicità estrema, il chiavistello per intrufolarsi tra i mostri sacri d’un calcio che pareva ormai proibito; e, voltandosi, Riccardo Bigon, magari ripensando a quelle smorfie di delusione, la rivincita postuma da andare a cogliere per offrirla a papà è l’ingresso nei quarti di finale tra i primi otto d’una Europa accogliente e fascinosa, abbracciata nella penombra della riservatezza più assoluta e attraversata sin da Manchester sottovoce, nascosto nel basso profilo del revival mai più rinfrescato dinnanzi ai taccuini: «Io da mio padre, purtroppo, ho preso poco: certo non i piedi, perché lui era fortissimo, come dimostra la sua carriera. Mi auguro di essere come lui con la testa: meticoloso, profondo, sensibile, professionalmente impeccabile. Serio, insomma. E poi, di questo son certo, mi sento a lui vicino per la maniera in cui vivo il mio lavoro: entrambi ce ne facciamo una malattia».
CERTIFICATO DI FAMIGLIA – Da (Albertino) Bigon a (Riccardo) Bigon: ventidue anni di Napoli riletti attraverso la lente d’ingrandimento della vecchia, cara coppa dei Campioni, quell’album di foto ormai ingiallite sul quale, eventualmente, sistemare il cellophane, prima di riporlo negli scaffali e goderselo per davvero, senza finzioni e né turbamenti, ma con l’orgoglio autentico d’aver dato (ulteriore) lustro al casato. Mosca 1990 è lo stato d’avanzamento mai raggiunto, una sorta di frontiera divenuta distante e irraggiungibile: e però, l’ha voluto il destino, stavolta si può riscrivere un romanzo e accomodarsi nell’elite, su quell’ottovolante che sorvola l’Europa. Da padre in figlio, è un viaggio che continua.
fonte: Il corriere dello Sport/ TuttoNapoli.net