Nella caccia al tesoro Champions, siamo riusciti a racimolare solo Diamanti e Rubin (i) di seconda mano. E qui la politica non c’entra, non c’è nessun presunto tesoriere corrotto. Si tratta solo di una squadra di calcio, il Napoli, incapace di piazzare un bel punto esclamativo accanto ad una frase, anche se questa è parsa grammaticalmente poco corretta. Una stagione infinita e tribolata, un mix di forti emozioni e profonde delusioni, ma che “con l’aiuto del buon Dio” poteva riservare (anzi può ancora) un finale vincente. Beh, chissà cosa avrà pensato della fatal Bologna il suo inquilino cantautore dopo i fatti di domenica. Il compianto Lucio avrà tolto il suo berretto a righe di fronte alla passione che i suoi amati napoletani riversavano nella città felsinea. L’avrà stretto forte tra le dita quando ha udito i suoi concittadini intonare i soliti beceri cori razzisti ed esultare a mo’ di scherno ad ogni gol delle concorrenti azzurre per la Champions. Ma il calcio italiano è questo, prendere o lasciare. A livello strettamente sportivo Bologna, teatro di un sogno azzurro nel 1990, si tramuta in un pomeriggio nel luogo di una bruciante disfatta. Il patron De Laurentiis, mister Mazzarri e uomini di spicco dello spogliatoio avevano invocato tanti cuori partenopei a sostenere la squadra in terra emiliana. Sono arrivati in 10mila. Ne mancavano solo 11, purtroppo.
QUESTIONE DI BATTITI. Tachicardia sugli spalti, elettrocardiogramma piatto sul prato verde. Il Napoli è sceso in campo senza quella rabbia agonistica, quella voracità necessaria in un crocevia determinante per la stagione. In verità l’approccio non è stato male, anzi. Ci si è messa di mezzo la sfortuna, l’imprecisione e i limiti che riconosciamo da tempo a questa squadra. Il primo tempo, però, non si può discutere. La ripresa, è quella che ci ha lasciati inorriditi, è parsa scritta da un drammaturgo bielorusso. Una lenta e delirante agonia. Calciatore a zonzo in campo senza una meta, la panchina travolta dallo stesso vortice. Non è questo il Napoli che conosciamo. Quello che non muore mai, che ti lascia aggrappato alla tv perché tutto può accadere. Quello che l’anno scorso ha guadagnato 12 punti in più (almeno finora), molti dei quali barricandosi fino allo strenuo delle forze nell’area avversaria. Questo mordente non sembra più avere dimora tra le maglie azzurre. Quest’anno ogni qualvolta la gara prendeva una piega sbagliata, si è fatta un’enorme fatica a cambiare rotta. A parte Roma e Udine (favoriti nella fattispecie dalla superiorità numerica), la compagine partenopea si è spesso lasciata trascinare dagli eventi senza tentare di cambiarne il corso. E non è nella sua indole. Questione di battiti o di motivazioni? In tal caso impugnare la scopa e provvedere ad un po’ di “pulizia” sarebbe lecito. E qui il paragone padano, ahimè, ci sta tutto.
DOCCIA FREDDA. Non intendiamo solo la sensazione percepita dopo i due fendenti rossoblù al Dall’Ara. Parliamo di un rimedio terapeutico per il Napoli in occasione delle gare ad alto tasso emotivo. Troppo spesso gli uomini di Mazzarri soffrono eccessivamente la sindrome da grandi eventi. O meglio, vanno in bambola quando sono sotto pressione e sentono la responsabilità di dover rispondere “Presente!”. Si pensi all’affascinante cammino in Champions. Una squadra spregiudicata e sbarazzina, perché sapeva di non godere dei favori del pronostico e aveva la libertà mentale di esprimersi al meglio. Appena si è stretto il cerchio intorno agli azzurri, appena tutta l’Europa ne attendeva l’approdo agli ottavi, ha subito immediatamente il contraccolpo. Bloccati e nervosi nella gara thriller di Villareal, affanno indescrivibile, poi la magia risolutiva di Gokhan Inler. Stessa sequenza vissuta in seguito contro il Chelsea, la formazione vista al San Paolo solo una sorella lontana di quella terrorizzata di Londra. E in campionato questo atteggiamento è stato una costante. Dagli snodi cruciali contro Milan e Juventus, fino alla sfida pre-pasquale contro la Lazio. Nuova linfa a Cavani e compagni è stata iniettata dai passi falsi delle altre, ormai il Napoli aveva poco da perdere e magicamente ha ritrovato brio e risultati. Domenica scorso l’ennesimo scoglio da patema d’animo, l’ennesima debacle inattesa. Allora consigliamo una doccia ghiacciata prima della gara. Magari, appena asciugati poi, una spalmatina di maturità sarebbe l’ideale. Ma quella non si compra al mercato, si acquisisce solo giocando con costanza ad alti livelli. Prima, però, bisogna guadagnarseli. Non a caso, è come il gatto che si morde la coda.