C’è una squadra.
Ma non se ne parla abbastanza.
Nessuna apertura di tg, nessun titolone, poca attenzione mediatica.
Del Napoli di Spalletti, nonostante il primo posto in campionato e il primo posto in Champions, non se ne parla a voce alta.
Nonostante i record su record, nonostante la vittoria storica sul campo dell’Ajax, nonostante il gioco più spumeggiante d’Europa.
Se un fenomeno del genere fosse scoppiato altrove, in Spagna o in Inghilterra, se ne parlerebbe ovunque: l’Italia lo guarderebbe con invidia e si chiederebbe cosa non va nel proprio calcio, cosa si dovrebbe fare per emularlo, come ripartire dopo due edizioni di stop ai Mondiali.
E invece questo calcio, questo spettacolo, è a Napoli, a casa nostra, e c’è tanto made in Italy che ci ostiniamo a non vedere o non valutare, punti di vista.
Raspadori, Di Lorenzo, Meret, Politano e Spalletti, ma forse è vero quel detto che nessuno è profeta in patria.
Così come De Laurentiis che a Napoli, fino a due mesi fa, è stato costetto ad affrontare insulti, minacce, offese di ogni tipo in nome dell’arrivo del primo arabo di turno.
Il calcio italiano sta offrendo un esempio straordinario, una squadra spettacolare costruita dopo un ridimensionamento di ingaggi e costi, dicendo addio anche alle figure più carismatiche.
Kvaratskhelia preso a 12 milioni, Kim a 20, Raspadori a 33. Il loro valore complessivo è almeno raddoppiato.
Campo, bilancio e gioco.
Ma nessuno ne parla, si pensa ad un fenomeno passeggero al punto da non dargli peso.
Meglio guardare altrove per non sentirsi belli almeno una volta ogni tanto.