L’intervista pubblicata dal Mattina ieri, che ha sancito il definitivo addio di Lavezzi dal Napoli, non ha di certo sorpreso la platea napoletana, già a conoscenza da qualche mese che la decisione di lasciare Napoli da parte del pocho è stata dettata soprattutto per quella mancanza di privacy che mai è andata giù al giocatore, riflessione rafforzata dal parere della fidanzata Yanina, che ha sicuramente avuto un ruolo fondamentale nella scelta di Ezequiel. Le avvisaglie che cominciarono ad insediarsi nella mente dei tifosi, assieme con l’ipotesi di poter perdere il proprio idolo, annunciate al settimanale Sportweek, pubblicato in allegato alla Gazzetta dello Sport, hanno fatto da battistrada ad una situazione che andata man mano delineandosi in modo abbastanza chiaro (all’epoca si parlò di prigione dorata, menzionando la villa in cui alloggiava l’argentino, di proprietà del regista Pappi Corsicato). Ma le parole del pocho hanno aperto ancora una volta una porta che è difficile socchiudere, poco costruttivo tenerla appannata e far finta di niente. L’ambiente azzurro è troppo spesso sotto i riflettori in maniera ossessiva e maniacale. Troppe volte abbiamo assistito a scene di fanatismo e eccessiva ricerca “dell’uomo azzurro”, per strappargli una frase, una foto, un autografo oppure una semplice “sbirciatina” in barba al più normale e rispettoso senso civico che qualsiasi persona umana dovrebbe avere il diritto di non perdere mai.
“Tifoseria un po’ eccessiva“, questo è emerso nuovamente, come a voler evidenziare e rimarcare come principale causa dell’addio quel calore e affetto che i tifosi interpretano come incontrollabile e irrefrenabile, ma che spesso bisognerebbe delimitare e riportare nei ranghi, volendo considerare che l’aspetto della privacy è e sarà un principio fondamentale sul quale costruire una mentalità vincente, di pari passo al blasone del gruppo che sta crescendo a vista d’occhio, all’ombra di un progetto che è pronto a spiccare il volo definitivo verso il grande calcio. Non può certo essere un aspetto interpretato in maniera “sufficiente” ma che spesso dà il là a spiacevoli reazioni la causa di un addio o di un mancato arrivo, non è possibile prendere sotto gamba l’importanza di potersi muovere liberamente, di poter vivere come tutte le persone normali, andando per strada, entrando nei negozi, o semplicemente stando assieme alla propria famiglia in un posto qualsiasi. I napoletani sono caratterialmente abituati all’entusiasmo sfrenato, all’affetto senza limiti, all’eccessiva enfasi che l’incontro con uno dei propri idoli può dare, ma è pur vero che bloccare la vita di una persona in centinaia, migliaia di persone, in un centro commerciale, in un ristorante, vuol dire rendere un inferno la vita del malcapitato “campione di turno“.
Spesso ci si dimentica che i calciatori sono sopratutto ragazzi, e privarli di un semplice giorno di vita comune, di quella normalità necessaria per apprezzare il posto in cui si vive, vuol dire non considerare minimamente l’aspetto sociale di una persona. Prima di tutto il rispetto, poi può anche starci l’affetto e l’apprezzamento, ma il passo che deve far maturare la tifoseria e gli appassionati che seguono il Napoli è proprio il saper misurare il proprio entusiasmo per concedere ai propri beniamini di essere anche cittadini di Napoli e delle meravigliose zone della nostra regione. Questa mentalità può portarci lontano, avvicinando giocatori di spessore che attualmente rifiutano la piazza per l’impossibilità di poterla vivere. Anche questo passo vorrà dire essere una tifoseria da grande squadra.