“Le signore del calcio” di scena alle Olimpiadi

Come la tradizione impone e per onorare il Galateo, aderendo così alla famigerata regola di cortesia che intima “prima le signore“, i giochi delle Olimpiadi di Londra sono stati aperti dalle “signore del calcio“, con la partita tra le nazionali femminili di Gran Bretagna e Nuova Zelanda, terminata con il risultato di 1-0 a favore della squadra di casa.

A onor del vero, non è eresia affermare che gli occhi ed i favori dei cultori del calcio, sono più attentamente puntati su quello da loro considerato come il “vero calcio”, ovvero sulle partite che hanno come protagonisti i “soliti noti”, “i calciatori seri“, quelli che per l’intera stagione calcistica siamo abituati a seguire, apprezzandone le gesta, conoscendone alla perfezione le caratteristiche tecniche.

Basta pensare all’attenzione/ apprensione con la quale i napoletani, in particolar modo, seguono il Matador Cavani, impegnato con il suo Uruguay nell’ambito delle stesse Olimpiadi, per comprendere quanto questo concetto sia facilmente estendibile alla realtà.

L’aspetto peculiare della vicenda è dato dal fatto che, verso le donne, allorquando hanno luogo i giochi olimpici, si indirizza questa sorta di scetticismo discriminatorio, esclusivamente quando lo sport in questione è il calcio.

I fan dei più disparati e talvolta sconosciuti sport, sanno rivelarsi abili nell’apprezzare i talenti femminili capaci di eccellere in qualsivoglia disciplina, basta pensare al podio tutto italiano conquistato ieri dalle ragazze della scherma, piuttosto che alle esaltanti performance di altre atlete, non necessariamente italiane, nel nuoto piuttosto che nella ginnastica artistica.

Ma quando lo sport in questione porta il nome di “calcio“, allora la scena cambia.

Scetticismo, perplessità, pregiudizio, preclusione, ristrettezza.

Questo è quanto aleggia nell’aria quando a calciare il pallone sono corpi sinuosi, ornati da parastinchi e scarpette.

“Il calcio è roba da maschi”.

Questo è il preconcetto su cui si ancora qualsiasi regola tacita del suddetto sport, scritto, parlato o giocato che sia, la sostanza non cambia.

Quando è una donna ad accostarsi al rettangolo verde, tutto assume un senso e un valore diverso.

Eppure, le calciatrici chiamate a rappresentare le proprie nazionali nell’ambito dei giochi olimpici attualmente in corso a Londra, praticano in maniera più che eccelsa l’arte del calcio, mostrandosi capaci di sfornare veri e propri capolavori balistici e di rapportarsi abilmente con le dure regole di gioco imposte dal campo, non tirandosi mai indietro nei contrasti nè risparmiando nulla, sia in termini di energie che di competitività.

Ma la mente umana è labile e facilmente suggestionabile, questo è risaputo.

Non è, pertanto, predisposta, probabilmente, a concepire che ad inseguire il pallone sia una leggiadra chioma bionda e che a deviarla in corner, con uno spettacolare colpo di reni, sia un aggraziato e femmineo corpo.

La femminilità è un dono, un’arte, manifestabile a bordo di un tacco a spillo da capogiro, ma, in egual misura, in pantaloncino e scarpette.

Una donna che gioca a calcio, o che pratica qualsiasi altro sport “duro” – rugby, boxe, giusto per citarne degli altri – non scredita il suo status nè sminuisce la sua naturale grazia.

Ma anzi, significativo è il contibuto che in termini di eleganza ed innovazione, sono capaci di apportare alle suddette discipline, non privandole della loro cruda, naturale essenza, ma arricchendole di quel quid in più che, oggettivamente, solo una donna è in grado di conferire.

Brasile, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Camerun, Svezia, Giappone, Canada, Sud Africa, Stati Uniti, Francia, Colombia e Corea del Nord.

Queste sono le Nazioni partecipanti al torneo di calcio femminile in corso alle Olimpiadi di Londra del 2012.

Usa, Giappone e Brasile sono le squadre designate come favorite al conseguimento della vittoria finale.

Ma è pur vero che esistono diverse tipologie di vittorie.

Ogni squadra, attraverso ogni sua singola giocatrice, incarna e sviscera una storia, una tradizione, uno stile di vita e un modo di pensare, un differente e moderno modo di essere donna, di essere atleta.

Ogni nazione, ogni calciatrice, abbattendo quel velato ma longevo muro di pregiudizio che avvolge ogni loro performance, ha già vinto la sua partita più significativa.

Per quanto concerne il titolo finale, come impone la più insindacabile ed inattaccabile legge dettata del rettangolo verde e com’è giusto che sia, quando la materia trattata è una competizione sportiva, altro non si può agurare se non “che vinca la migliore!

Luciana Esposito

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