Avanti il prossimo. La Fiorentina rivoluzionata, bella e incompiuta, si è inchinata al San Paolo. Non senza affanni, certo. Il Napoli si è finalmente comportato da grande squadra. Poco spettacolare, a tratti farraginoso, eppure sornione e tremendamente cinico. Punti di platino dritto in cascina.
Sofferenza, dicevamo. Nel primo tempo, complice una Viola decisamente spavalda, l’assetto tattico azzurro ha barcollato fin troppo. La scelta di Mazzarri di schierare due incontristi puri ha impoverito di fosforo il centrocampo azzurro. Giusto fare qualche accorgimento in virtù dell’avversario, ma snaturarsi per timore di chi si affronta è eccessivo. Il palleggio toscano andava reciso sul nascere, per contro però doveva essere costretto anche a tamponare l’abilità del Napoli di tessere la manovra. Invece nei primi 45′ impostazione di gioco e possesso palla non vestivano la casacca azzurra. Mancava l’uomo che prendesse per mano la squadra dai primi vagiti, capace di spostare il baricentro di una ventina di metri in avanti ed innescare le frecce partenopee. Niente da fare. Maggio e Zuniga russavano supini nell’arco, Cavani girovagava generoso e spaesato, mentre il piccolo Insigne predicava nel deserto. L’assenza di Inler a dettare i tempi, ahimè, si è rivelata pesante. Lo svizzero, pur non essendo in condizioni eccelse, fornisce un apporto di disciplina che è merce rara nella nostra rosa.
Nulla da obiettare contro Dzemaili e Behrami, calciatori versatili e di grande quantità. Ma non avendo il fisique du role, debbono necessariamente avere un direttore d’orchestra che accompagna le loro melodiche scorribande. Tant’è, la scelta discutibile del mister livornese ha scaraventato i due falegnami azzurri nelle fauci di uno snervante tic-tac dei vari Pizarro, Borja Valero, Cuadrado e Jovetic. Dzemaili davanti alla difesa era una guardia svizzera in libera uscita e l’altro elvetico dalla chioma bionda ha chiuso con la lingua penzoloni e una buona dose di nausea. Fortuna ha voluto che il pacchetto arretrato è parso più granitico del solito, la Fiorentina giungeva con agilità nella trequarti ma non è mai penetrata in zona rossa.
In una prima frazione ricca di sterili lanci lunghi e confusa interdizione senza l’ombra di una ripartenza, ci si attendeva minor pigrizia da Marek Hamsik. Lo slovacco deve entrare nell’ordine di idee che in questa stagione sarà giocoforza il leader del Napoli, ancor più degli anni addietro. Tra le linee sa essere devastante, offrendosi come punto di riferimento nei momenti di defaiance e mostrandosi come vero ago della bilancia nello scacchiere di Mazzarri. Domenica sera è partito timoroso ed impacciato, nascondendosi come nelle sue peggiori prestazioni ai piedi del Vesuvio. Una volta, però, le sue sparizioni erano compensate dai lampi di Lavezzi. Ora è lui il perno di questa compagine e delle sue battute a vuoto ne risente l’intera truppa. Ma quando la serata storta sembra già accarezzarlo, alza la cresta e si tramuta in risolutore. Non solo il gol però, nella ripresa torna ad essere autoritario e intuitivo come piace ai tifosi napoletani. Non dimenticare il tuo valore Marek. Mai.
Il secondo tempo è confortante sotto vari aspetti. L’ingresso di Inler è un toccasana, il piglio degli azzurri è senz’altro di altra caratura. Le geometrie di Gokhan restituiscono una fisionomia ad un puzzle scriteriato, la difesa riprende fiato e tutti i suoi compagni sembrano beneficiarne. Dzemaili, liberato dai compiti di regista a cui non è affezionato, viene sguinzagliato in mediana e si distingue in versione trottolino. Non è un caso che la partita si chiude con una sua staffilata. Non è la prima volta. In questo ruolo anche Behrami può dire la sua, deve solo ritrovare il coraggio di affondare come fece a più riprese nella Supercoppa di Pechino. Ma la domanda è lecita: Mazzarri avrà capito che un centrocampo di solo contenimento non si addice alle peculiarità dei suoi ragazzi o tenterà questa soluzione in altre occasioni? Il Napoli deve imporre le sue idee e non lasciarsi irretire dal blasone dell’avversario. Attendendo l’incognita Marco Donadel, l’unico metodista che può assumere le redini al posto di Inler. Praticamente mai visto all’opera, ora è pienamente recuperato dai suoi acciacchi fisici e ha la bava alla bocca. Non si può prescindere dai tacchetti lucidati a colpi di raziocinio. La mente è strumento indispensabile per il buon funzionamento degli arti.