E pur sempre un bel giocatore, direbbe un uomo di una volta. Oggi invece, usando qualche aggettivo più prolisso, diremo che Fabio Quagliarella è uno di quegli attaccanti che ha bisogno di giocare e di sentirsi in un certo qual modo desiderato. Non si può pretendere da uno come lui che entri in campo per una manciata di secondi, alla fine di un match, e ti cambi la versione ibrida di quella gara. Non è uno su cui si può puntare quando manca il pezzo da novanta, oppure quando la terza o quarta punta è necessaria per tentare l’ultima carta prima della resa. Non sia mai avanzare queste proposte, sarebbe disposto ad aizzare un focolaio pur di non accettare questi compromessi. Per dirla breve, un po’ come è accaduto all’epoca in cui Fabio militava nel Napoli, e le voci di una sua possibile staffetta lì davanti, con Lavezzi ed il fresco arrivato Cavani cominciarono a fargli venire il mal di pancia. Quello che è successo dopo non è dato sapere, non vogliamo certo riaprire processi e ferite inguaribili, ne tantomeno puntare il dito contro qualcuno per giudicare una scelta, una decisione, opinabile per libero arbitrio.
Ma ciò che sta accadendo al ragazzo di Castellammare è forse ciò che sarebbe potuto accadere con la maglia azzurra, e cioè attendere il proprio “magic moment” per scalzare dalle poltrone colori i quali in precedenza erano stati incoronati. Ma le scelte sono fatte, quel che è stato è stato, resta viva e misteriosa l’ombra di un ragazzo del sud che avrebbe potuto pazientare in terra propria per aspettare il momento di grido, l’attimo fuggente aggrappato per la coda, invece che emigrare con una valigia piena di rancori e accidenti, sportivi si intende, di un popolo che era pronto per attendere che il suo destino si fosse compiuto. Questi tre giorni di Juve hanno ridato linfa al giocatore, riproponendolo ai livelli che gli competono, perché è pur sempre …un bel giocatore, anche se lontano un miglio dalla sua gente.