Ho una discreta esperienza dei campi, tante domeniche, eccetto quando giocava il Napoli, passate nei campi di periferia, a gustare il calcio elementare di chi sognava di “arrivare”.
Un’esperienza che mi ha profondamente segnato, non nella sua bellezza oggettiva (di giocate davvero poche), ma nella figura dell’arbitro e delle vere e proprie vessazioni a cui andava incontro da parte della tifoseria di casa, me incluso. Un fallo non fischiato? E noi sugli spalti diventavamo bestie, prendevamo a insultare un povero Cristo che forse aveva solo applicato il regolamento, che forse aveva solo sbagliato.
Ma lo facevamo apposta, per influenzarlo, per indirizzare il suo fischio in una certa direzione. Lo applaudivamo a scena aperta quando ammoniva un giocatore ospite, e lui si gasava, ad ogni fallo prendeva ad ammonire tutti i giocatori avversari; noi continuavamo a stordirlo di applausi, e lui, ormai protagonista, andava verso la gloria negando un gol evidente agli ospiti o graziando una falciata da dietro dei nostri.
Fu in queste circostanze che mi appropiai dei rudimenti elementari di psicologia, rudimenti che poi hanno trovato conferma anche nella mia analisi del calcio che “conta”.
Oggi Casarin lo ha detto a mezza voce: “Non posso escludere che esista la sudditanza psicologica“. Aspettavamo questa dichiarazione da un arbitro, anche se ex. E’ inutile dirci che l’arbitro può sbagliare, noi questo già lo sappiamo. E’ utile invece mettere in conto l’emozionabilità fragile dell’uomo-arbitro, il suo essere condizionato dalle condizioni esterne, dal peso della maglia, dalla gloria della squadra.
Non ci vengano a dire che un arbitro di polso non sente settantamila urla e tonnellate di fischi; non mi si venga a dire che sbaglia perché umano. Si aggiunga invece che sbaglia perché influenzato dall’arcana e ancestrale soggezione verso i potenti. Ecco perché si parla di “sudditanza”; perché si diventa sudditi, cioè in balìa completa di chi in quel momento esercita il potere.
Bravo Casarin, nella tua verità appena accennata ci hai dato conto dell’assegnazione di molti titoli immeritati sul campo ma meritati in virtù del fascino e del potere esercitati.
Carlo Lettera
Riproduzione riservata